La famiglia Freda: “Sentivamo di poter ancora dare affetto come genitori”

Tutte le sere Linda sentiva dentro di sé porre la stessa domanda: vuoi solo guardare o ti decidi a fare qualcosa? Poi ha conosciuto il programma Fare Sistema Oltre l’Accoglienza [...]

Tutte le sere Linda sentiva dentro di sé porre la stessa domanda: vuoi solo guardare o ti decidi a fare qualcosa? Poi ha conosciuto il programma Fare Sistema Oltre l’Accoglienza – soprattutto nella parte che coinvolge le famiglie per dare supporto a minori non accompagnati – ed è scattata la molla. Insieme al marito Fulvio hanno deciso di accogliere Adrian, un ragazzo rumeno di etnia Rom che, dicono, “ci fa bene”

Linda mi descrivi la tua famiglia?
Mio marito Fulvio e io viviamo a Napoli centro. Ho 65 anni e sono un medico omeopata, faccio parte del Movimento dei Focolari. Mio marito è un medico anche lui, in pensione, era un chirurgo al vecchio Policlinico di Napoli che non ha mai fatto attività privata per scelta. Ora è volontario in un centro di ascolto per la famiglia. Abbiamo due figlie grandi, trentatré e trentuno anni.

Qual è stata la molla che ti ha fatto decidere di prendere parte – con la tua famiglia – a questo percorso di inclusione e supporto?
Ti racconto questa piccola storia. Sul mio comodino, accanto al letto, c’è una fotografia di Gesù in croce. Due, tre anni fa vedevo in televisione le notizie di ragazzi che sbarcavano, di bambini che morivano in mare con la pagella in tasca e quando andavo a dormire quella foto mi interrogava. Era come se mi chiedesse: “e tu che fai? Vuoi solo stare a guardare o ti decidi a fare qualcosa?”

Come vi siete avvicinati a Fare Sistema Oltre l’Accoglienza?
Stavamo vivendo un momento difficile. Quando abbiamo saputo del programma FSOA che coinvolge le famiglie e consiste nel dare supporto a minori non accompagnati abbiamo detto: noi abbiamo ancora tanto da offrire. Ci faceva bene l’idea di dare questo affetto. Anzi, ci fa bene. Sentivamo di poter ancora essere genitori. Ecco, aderire a Fare Sistema Oltre l’Accoglienza mettendo a disposizione un supporto affettivo è stata la mia – la nostra – risposta alla domanda che mi ponevo ogni sera.

Così nella vostra famiglia è entrato Adrian?
Esatto. Adrian ha diciannove anni, noi l’abbiamo conosciuto quando ne aveva diciassette. È un ragazzone, mostra più anni di quelli che ha, gliene daresti trentacinque. Ha la barba fitta fitta nera nera e gli occhi azzurri. Vive nella Comunità alloggio Casa Pinardi dei Salesiani a Caserta. È l’unico straniero ospitato nella Casa.

Come è stato accolto dal resto della vostra famiglia?
Prima di aderire al programma Fare Sistema abbiamo parlato con tutti: le figlie, mia cognata, la mia famiglia di origine. Adrian è stato accolto da tutti senza problemi. Lo hanno accettato subito. Noi siamo sempre stati abituati ad accogliere. Siamo cresciuti in parrocchia fin da ragazzini e siamo stati educati a donarci agli altri.

Da dove viene Adrian? Qual è la sua storia?
È rumeno, di una etnia Rom. Abitava con la sua famiglia in un appartamento a Torre Annunziata, lo mandavano a chiedere elemosina e a casa aveva una situazione veramente difficile, complicata. A soli tredici anni ha deciso che non ce la faceva più ed è scappato. Ha tentato la fuga un paio di volte. La prima volta non ci è riuscito. La seconda è stato ospitato in un ambiente protetto e poi nella casa-famiglia di Caserta dove si trova ora. Voleva cambiare vita. Pur essendo così piccolo vedeva che c’erano altri ragazzi attorno a lui che conducevano una vita migliore, anche dal punto di vista famigliare e lui diceva “perché io no?” Si era reso conto che c’era la possibilità di riscattarsi in qualche modo.

Non deve essere stato facile…
No di sicuro. Aveva tredici anni e non era mai andato a scuola. Non sapeva né leggere né scrivere. In questi anni ha preso il diploma di terza media e adesso sta frequentando l’istituto alberghiero. Aveva tante lacune, ma anche tantissima buona volontà. Riesce ad apprendere subito, è volenteroso, non gli manca l’impegno. Noi abbiamo provato ad aiutarlo su questo fronte: insieme abbiamo fatto esercizi di lettura, abbiamo studiato le tabelline. Non riusciva a memorizzare i mesi dell’anno. Gli abbiamo spiegato perché era necessario imparare queste cose: non per allenare la memoria, ma perché quando dovrà mettere la firma su un pezzo di carta dovrà saper leggere la data che c’è scritta sopra e sapere in che giorno e in che mese e in che paese si trova.

I primi vostri incontri come sono andati?
La prima volta che è venuto a casa nostra doveva arrivare anche mia figlia con il suo bambino, di circa un anno. Avevamo detto ad Adrian di non preoccuparsi se il bambino si fosse intimidito. Invece è successa una cosa stranissima: quando mia figlia è entrata, il bambino ha proteso mani verso Adrian e gli è andato in braccio. Non ce lo saremmo mai aspettati. Adrian ha detto: “Lo sapevo, perché ho dei fratelli piccoli, mi piacciono i bambini”.

Com’è il vostro rapporto?
Siamo diventati un punto di riferimento per lui. Ma non ci siamo mai sostituiti alla sua famiglia. Le sue sofferenze Adrian ce le ha raccontate piano piano. Si fida di noi. È un ragazzo che nutre fiducia nel mondo. Non fa colpi di testa. Sembra molto responsabile, volenteroso, rispettoso. La vita gli ha insegnato tante cose. Poi… è uno juventino. Sa tutto della Juve, i giocatori di adesso, quelli di prima, gli allenatori, le partite vinte, quelle perse… è un patito del calcio. Lo prendiamo in giro per questo: facciamo delle schermaglie tra tifosi del Napoli e lui. Trascorre con noi le feste. Qualche volta ha anche dormito a casa nostra. Con noi vive dei momenti di famiglia. Durante il lockdown non ci siamo potuti vedere. Ma il legame c’è sempre.

Anche ora che è maggiorenne?
Certo. Il progetto di accoglienza in famiglia durava un anno, fino al compimento della maggiore età di Adrian. Ma non è che a un certo punto interrompi l’affetto. Inoltre, ha ottenuto dal giudice minorile di poter rimane a Casa Pinardi fino a ventuno anni, così da poter continuare il suo percorso di inclusione e non vanificare quel che è stato fatto finora. Soprattutto nel campo dell’autonomia. Per esempio: le prime volte che veniva da noi era accompagnato con l’auto dagli operatori della casa-famiglia. Poi abbiamo constatato che era necessario fargli fare un passo ulteriore: doveva essere messo in grado di muoversi da solo. Quindi ha iniziato a prendere il treno da Caserta, andata e ritorno. Ha capito che doveva comprare il biglietto, obliterarlo… rispettare queste regole. Ora quando viene dice subito: “Ho fatto il biglietto”.

È cambiato in questi anni? E come?
Sta capendo alcune cose. Ci parla del suo futuro. Di quello che sarà. È un ragazzo che ascolta molto. È molto integrato, si fa voler bene. Durante l’estate ha lavorato in un lavaggio auto. Non rinuncia a raccontare di sé. La mamma è in Germania dalla sorella. Gli mancano i fratelli più piccoli. È preoccupato per loro.

Adrian pensa al suo futuro? Quali sono i suoi sogni?
Adrian ha un sogno. Gli piace cucinare, gli piacerebbe fare il cuoco, ma non è questo il suo desiderio più grande: il lavoro gli serve per affittare una casa e far venire a vivere con lui i suoi fratelli più piccoli. Non è un sogno impossibile. È un sogno legittimo.

 

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