Angela, della rete dei volontari FSOA: “Accogliere? È un filo che non si spezza”

Per la famiglia di Angela l’accoglienza è iniziata con un piccolo gesto: ospitare per un paio di notti due ragazzi che ne avevano bisogno. Da quel momento “la nostra prospettiva [...]

Per la famiglia di Angela l’accoglienza è iniziata con un piccolo gesto: ospitare per un paio di notti due ragazzi che ne avevano bisogno. Da quel momento “la nostra prospettiva è cambiata: ascoltare le storie di quei ragazzi ha dato un nuovo equilibrio alle nostre vite”

“Tutto è iniziato quando con mia figlia siamo andate a un incontro organizzato da Fare Sistema Oltre l’Accoglienza”, racconta Angela. Da lì, ha deciso di entrare nella rete di volontari FSOA. Quell’incontro l’ha convinte che gesti, anche piccoli, di solidarietà si possono sempre fare: “Ci siamo entusiasmate, e senza far passare troppo tempo abbiamo contattato Fare Sistema e abbiamo dato la nostra disponibilità”. Così, quattro anni fa hanno conosciuto Sekou e Lucien.

I due ragazzi avevano necessità di trovare un posto dove dormire, a Roma, un paio di notti, perché venivano da fuori e dovevano sostenere un colloquio di lavoro presso Leroy Merlin. Angela ha aperto la sua casa, organizzato i letti, donato ospitalità. “La cosa bella – racconta – è stato l’impatto tra la nostra famiglia e i due ragazzi, la sera a cena. Si chiacchierava. È in quel momento che mi sono resa conto che quello che vedi e senti in televisione è qualcosa di lontano, pensi non mi riguarda. Invece no. Da vicino la prospettiva cambia. Conoscere questi ragazzi, ascoltare le loro storie rimette tutto in equilibrio: la tua vita e la loro è sullo stesso piano. E tu ti senti in dovere di eliminare quelli che percepivi come vantaggi”.

Dopo il colloquio di lavoro Sekou e Lucien sono stati assunti. Angela e la sua famiglia hanno continuato a trascorrere del tempo assieme a loro, tra pranzi, cene e picnic: “Hanno sempre accettato ogni invito. Hanno caratteri diversi, naturalmente: uno è più espansivo e l’altro più estroverso. Ma noi siamo entrati in punta di piedi nelle loro vite. Non ci rendiamo conto di quanto siamo pieni della nostra cultura e per loro può essere faticoso adeguarsi. È normale, non la conoscono”.

Angela ha tre figli che all’epoca dell’incontro con Sekou e Lucien avevano dai 17 ai 24 anni. Che non si sono tirati indietro di fronte alla possibilità di mettere in pratica il concetto di accoglienza: “È stato un momento di condivisione per tutti. L’accoglienza non la puoi imporre, però in questa occasione ho raccolto quello che avevo sempre seminato nell’educazione dei miei figli”. Tra i ragazzi si è creato un legame forte. Quando la figlia Michela si è laureata, Sekou e Lucien le hanno fatto un regalo, una penna, dentro un pacchetto ben confezionato. “Mia figlia ora porta questa penna con sé ovunque”, racconta Angela, che aggiunge “non è stato scelto a caso quell’oggetto. La penna è simbolo degli studi. Sekou, soprattutto, ci ha sempre confessato che avrebbe desiderato continuare a studiare, ma non gli è stato possibile”.

“L’insegnamento che ne ho ricavato? È stato come fare un passo indietro. Io continuo a sentire questo legame. Ho capito che è stata un’occasione importante, di cui continuare a prendersi cura”. Sekou ora abita a Milano. Lucien a Mantova. Ma i rapporti con la famiglia di Angela non si sono interrotti, tra telefonate e messaggi. E poi c’è Michela che per laurearsi in Cooperazione alla sviluppo ha compilato una tesi su Fare Sistema Oltre l’Accoglienza.
“La spinta all’accoglienza, è vero, non è così diffusa. Però rimane quello che semini con i tuoi gesti rimane. L’apertura agli altri diventa normalità e continui a portarti dentro un filo che non si spezza, ma che si trasforma in una ricchezza in più” conclude Angela.

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